CASTELLUCCIO  COSENTINO

 

Il testo, ricavato da  un articolo pubblicato su un quotidiano locale dal giornalista Vincenzo Paesano, conferma la storiografia su Castelluccio Cosentino.  L'originale è da me conservato.

Attilio Piegari

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CASTELLUCCIO COSENTINO

nel suo quarto centenario

 

Eboli, giugno 1938 XVI

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   Castelluccio Cosentino ha celebrato con solenni cerimonie la  ricorrenza quattro volte centenaria della sua fondazione.

   In un tempo, come il nostro, in cui i valori storici sono giustamente messi in rilievo,  è stato proprio lodevole il proponimento di quei cittadini, i quali hanno, così, avuto l'occasione di esprimere la loro gratitudine a Don Costantino Cassaneti, che di quelle cerimonie patriottiche e religiose ha avuto l'iniziativa e che  benemerito del suo loco natio, cui provvide, de proprio, con spesa non lieve, dell'acquedotto e del cimitero.

   Alla celebrazione intendo partecipare anch'io per l'amicizia che mi lega al Cassaneti, apportando qualche notizia nuova circa l'esistenza di  Castelluccio Cosentino.

   Il Cassaneti,  rilevando  la  notizia dal popolare storico napoletano Antonio  Summonte,  fa  rimontare  a quattro  secoli  la fondazione di quel villaggio.  Or io son certo di far piacere a lui e  ai  suoi paesani,  informandoli che  l'esistenza  di esso non è quattro volte secolare, ma  è del tutto millenaria.

   E' una soddisfazione araldica questa, che deve far piacere assolutamente, senza, per altro, minorare l'importanza delle feste,   giacché può darsi che l'epoca notata dal Summonte abbia il suo fondamento in qualche radicale rifazione del villaggio o del castello, cosa che è sempre meritevole di esser ricordata.

   Dicevo dunque che l'esistenza di Cosentino è millenaria ed ecco le prove e le fonti storiche attendibili.

   Nell'Archivio della Mensa Arcivescovile di Salerno, scaffale sec. XIII, v'è una pergamena in cui è notata una causa dibattuta nel 1252, quando era re-imperatore Corrado IV di Svezia, figlio di Federico II, tra il console di Cosentino e quello di Sicignano.

   Il barone di questo paese pretendeva il giuramento di fedeltà dagli abitanti di Cosentino, asserendo essere quelli suoi diretti vassalli. L'Università di Cosentino (e per Università s'intende l'amministrazione comunale) ricorse ai giudici della Regia Corte contro la persona del barone di Sicignano e ne venne fuori una lite che si svolse davanti al Giustiziere del Principato in parecchie udienze.

   Il documento in parola, che fu pubblicato dal Carucci nel primo volume del suo «Codice diplomatico Salernitano del Sec. XIII» pag. 258, si porta ad uno studio importante non soltanto per le questioni o diritto che presenta, ma anche per la procedura che era in uso nel secolo XIII riguardante la celebrazione delle cause. Queste, dunque, il giustiziere le  esaminava, recandosi personalmente con  un altro giudice e col notaio degli atti, nelle principali località del giustizierato, e a lui, assistito pure da persona del luogo, si presentavano i contendenti locali e quei dei centri viciniori, muniti di carte documentarie e testimonianze.

   La causa tra Cosentino e Sicignano fu messa a ruolo -  per dirla  con terminologia moderna - ad Aquara.  Rappresentante di Cosentino fu apposito sindaco, chiamato Nicola Cito;  di Sicignano un signore stesso del paese, Riccardo Rocca.   Il giustiziere diede  otto giorni di tempo per la presentazione di documenti probatori da parte del barone e di quelli di difesa da parte del Cito.

   Dopo altro termine fissato le parti comparvero davanti alla Corte a Sala Consilina e il giustiziere li rimandò entrambi ad altra udienza che si sarebbe tenuta a Salerno.  Quivi i documenti  furono presentati dalle parti e discussi e la sentenza fu emessa pochi giorni dopo nell'udienza tenuta ad Eboli. Le richieste dell'Università di Cosentino furono tutte accolte e ributtate completamente le pretese del barone di Sicignano.

   Dai documenti presentati dal sindaco Nicola Cito rilevasi  tutta una storia del paese ch'è quella che or mi piace di rilevare, messe da parte le formalità giurisdizionali e procedurali che possono essere oggetto di studio da parte di cultori di Storia del Diritto.

   Il sindaco di Cosentino presentò un documento da cui rilevasi  che verso la metà del Mille il principe Gisolfo di Salerno donò in feudo all'arcivescovo di Salerno il villaggio di Cosentino.  Quella donazione confermò  alcuni decenni più tardi Roberto conte di Principato.

   Dunque alla metà del secolo XI Cosentino esisteva.

   Siccome, però,  nel  documento è  denominato Casale Cosentinorum e non già Castrum Cosentinorum, come lo sarà in seguito donde la denominazione di Castelluccio Cosentino, può ritenersi che nel secolo XI il castello non esistesse e potrebbe quindi essere la costruzione sua avvenuta nel secolo XVI, spiegando così l'asserzione del Summonte, Castelluccio Cosentino, sicché,  fu  feudo della chiesa Maggiore di Salerno. Questa possedeva pure come feudi, Olevano e Montecorvino, aveva tentato di avere Eboli e Giffoni, possedeva Cosentino ed altri casali, onde l'arcivescovo di Salerno era uno dei maggiori dell'Italia meridionale.

   Il documento in parola è notevole anche pei confini che dà il territorio, i quali credo possono essere facilmente individuati:

   Era separato dal territorio di Sicignano per mezzo del vallone detto Rio Petroso; da questo si scendeva al vallone «de Guado», e quindi, ad occidente, fino alla Chiesa di San Nicola da Passicale e poi verso settentrione, alla stessa chiesa, per discendere infine al fiume Negro (Tanagro)  dov'è  la grotta de «Bucculerio». Va poi fino al Castellum de Comite, detto «Crepacore» e quindi all'acqua de «acer et de spina».

   Oggi l'acqua che disseta la popolazione di Castelluccio Cosentino porta il nome di Acqua dell'Acero, come quella che serve a dissetare Eboli.

   Gli abitanti poi erano vassalli della Chiesa salernitana, «in capite», cioè dipendenti esclusivamente da lui, senza che il governo centrale avesse avuto su di essi alcun diritto: gli uomini, le mogli, i figli e quanto esistesse sul territorio.

   Come ho detto la controversia finì con l'accoglimento delle ragioni dell'Università di Cosentino.  Un'altra cosa è da rilevarsi. Nel secolo XIII, quei cittadini, pur riconoscendo come loro signore l'arcivescovo di Salerno, tutelavano i loro diritti e privilegi con cura inaudita e direttamente, senza cioè chiamare in causa, magari per essere protetti, l'arcivescovo.  Era cioè in essi una responsabilità di cui i cittadini erano coscienti e che tutelavano rigorosamente senza tentennare o patteggiare.

Vincenzo Paesano

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